Adempiuto a questi | |
Adempiuto a questi convenevoli, la carrozza procedette con trotto normale fin oltre il ponte, non arrestandosi che innanzi al palazzo Pertusati, ovvero sia all'albergo delle Muse, come esso veniva chiamato per antonomasia. Coloro che sedevano a quel banchetto erano tutti pastori e pastorelle d'Arcadia, della cosм detta colonia milanese, introdotta fra noi dal padre Giannantonio Mezzabarba fin dal 1704. A questa colonia il conte Carlo Pertusati, stato presidente del Senato e gran cancelliere, aveva dato per sede delle adunanze il proprio palazzo. Ad imitazione degli orti Rucellaj vi aveva poi fatto disporre un giardino, il piщ squisito nel Ducato per piante rare ed esotiche, dove gli Arcadi si raccoglievano in estate a recitarvi i loro componimenti, e dove don Luca Pertusati, ad alternare la scienza colla poesia, aveva radunati i piщ valenti cultori di botanica per mettere in comune i loro studj. Ma ciт che costituiva la rinomanza di quel palazzo era la copiosa biblioteca che il conte Carlo, nel tempo ch'era stato reggente del consiglio d'Italia, aveva arricchito di opere onnigene e delle piщ riputate edizioni. Chi avesse detto al conte che quella biblioteca era destinata a diventar la base di quella che fu in seguito la biblioteca di Brera, per lasciar poi che si sperdesse nell'obblio il nome del suo primo padre! Ricevute le piщ calde congratulazioni dal conte Pertusati, conservatore di quella colonia, e che, nelle solenni adunanze, dimentico quasi della sua qualitа di questore del Senato e di prefetto della compagnia di San Giovanni alle Case Rotte, non si gloriava che di essere un pastore; accolti i complimenti degli altri arcadi, e sopportata con aspetto ridente la tempesta dei baci di quella dozzina di pastorelle che sedevano al banchetto; la contessa e la contessina colle guancie fatte frolle dalle impronte di tanta cordialitа, si partirono, ingiungendo la contessa al cocchiere di tirar via dritto pel corso senza tornare indietro, di pigliar la via de' bastioni di porta Romana, e per di lа passare a porta Orientale; chи sentiva, tanto essa che la figliuola, un gran bisogno di respirare, salvandosi per un momento dal pubblico entusiasmo. Come furono sulle mura, i loro occhi riposarono da tanta luce, e gli orecchi da sм prolungato frastuono. Bene dal bastione, girando lo sguardo sulla cittа sottoposta, si vedevano gli sparsi splendori di tante e tante cene, ma resi sopportabili agli occhi stanchi dalla vaporositа interposta; e medesimamente il vario e vasto concento in cui si confondevano tante migliaja di voci e di grida saliva fin lа, ma fatto piщ fioco dalle distanze. I cavalli intanto, annojatissimi anch'essi dell'aver dovuto andare a passo per tanto tempo, o tutt'al piщ ad un mezzo trottino, si slanciarono a carriera appena il cocchiere ebbe loro liberato i freni; e i due lacchи agitando le torcie a vento si spinsero anch'essi al corso, con una velocitа a cui erano obbligati rare volte ma che pur bastava per assicurare e l'asma e l'ernia al loro deplorabile avvenire. Per un raccoglitore d'impressioni, quel carrozzone sfarzoso che con fragor cupo rotolava sul terreno nudo e brullo e ineguale e gibboso de' bastioni, allora incolti e senza fronda d'albero; e quei due lacchи, che, colla zazzera a riccioni svolazzanti (perchи i lacchи cosм come i cocchieri portavan quasi sempre una foggia di pettinatura giа respinta dalla moda, per un capriccio della moda stessa), correnti a rompicollo e colle torcie a larghe fiamme lascianti indietro odor di resina e faville, parevano, veduti a qualche distanza, quasi due furie anguicrinite dell'inferno pagano, mal dissimulate dalla livrea del secolo XVIII; e il fondo bizzarro su cui staccavano queste figure volanti, fondo luminoso e romoroso da una parte, smorto e silente verso la vasta campagna; e su nel cielo e luna e stelle e pace infinita, e ai lembi estremi dell'orizzonte i primi annuncj della luce crepuscolare, che aggiungeva una tinta nuova ai lumi artificiali che apparivano da tutti i punti della cittа, come onde chiazzate di un lago; tutta questa scena dunque, diciamo, doveva necessariamente fare effetto in un poetico raccoglitore d'impressioni. Ma la carrozza, ad onta del terreno che si affondava spesso, percorse in breve tutto il bastione di porta Romana, e giunse a quello di porta Tosa, e trasvolт innanzi alla cupola della Passione, e in breve fu alla porta Orientale. Arrivata dove il bastione inclina alla cittа, uno splendore straordinario che usciva dalle piante di un giardino e una confusa armonia di voci e canti e suoni colpirono l'attenzione della contessa, che domandт al cocchiere: - Or che и questo? - И il signor marchese Alberico F... insieme colla solita brigata, rispose il cocchiere. - Allora fermati qui, gli disse la contessa nell'udire quel nome. I cavalli si fermarono, trattenuti da una forte imbrigliata. I lacchи sostarono anch'essi, ansando come due mantici di maniscalco quando soffiano nella massima furia del lavoro notturno, ed asciugandosi il sudore che pioveva di sotto alla prolissa cesarie. - Non si puт entrare in cittа, scansando di passare per di qui? chiese poi la contessa. E il cocchiere che aveva compreso dove andavano a finir quelle parole: - Non pensi a nulla, signora contessa, chи io, anche passando in mezzo a costoro, tirerт via di buon trotto, e la carrozza non sarа trattenuta da nessuno. - Bene, ma aspetta un momento. E intanto s'udiva la musica d'un minuetto; ed era quella precisamente che Mozart trasportт molti anni dopo nel suo Don Giovanni nella scena della festa; perchи, come abbiamo giа fatto osservare, il grande Mozart prendeva spesso in piazza i motivi giа fatti popolari, affinchи trionfasse la veritа in tutta la schiettezza ne' suoi drammi sublimi. Ma lasciando Mozart e il minuetto, giа diffuso dappertutto prima ch'egli lo rendesse celebre e lo perpetuasse nel Don Giovanni, per qual motivo la contessa s'era come sgomentata al nome del marchese Alberico F...? Cari lettori, non fu per un motivo solo, ma per due; il primo era ovvio, vale a dire che il marchese Alberico era in voce del piщ sfrenato libertino della cittа, e sapevasi che i suoi pranzi, le sue cene, le sue feste somigliavano troppo ai lupercali di Roma, e spesso vi danzavano a tondo le alunne di Tersicore involate alle scene dei principali teatri d'Italia. |
Thursday, October 23, 2008
1624340
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